La Storia

Origini della seticoltura

I primi documenti sulla coltivazione del gelso nella Lucchesia sono reperibili nell'Archivio di Stato di Lucca.
La più antica, testimonianza della seticultura in Lucca risale al 1223 e si riferisce alla sentenza di Lutterio Orlando Raspi e Lutterio Saragozzio arbitri nella lite esistente fra il De Brando e Orlando Napoleone per la divisione delle case poste nella corte di Aldebrando in Lucca presso la chiesa di S. Michele della Curia degli Avvocati. I suddetti arbitri assegnano ad ambedue i fratelli la parte spettante loro dalle case in questione; quella toccata ad Aldebrando è così descritta: "nedietatem videlicet integram totius domus anterioria alte et solite incipienda a parte meridia et curíe ubi est Celsus sicut trahit ecc."
Lucca 15 maggio 1223, ser Paganello trasse dal rogito di Lamberto Giudice e Notaro.

Nell'Archivio di Stato (Corte dei Mercanti n.,94 c. 35) si trova uno dei pochissimi documenti che attestano la produzione locale di seta cui si riferisce che Giusfredo Cenami compera il 18 settembre 1409 da Jacopo di Lunardo Taglì da Castelnuovo libbre 30 di "seta locale nostrata". Ma la coltivazione della seta locale doveva essere ben poca cosa se contrattazioni di seta nostrale sono indicate così raramente nel libri del Mercanti e non si trova nessuna disposizione che le riguardi nello Statuto mercantile del 1438 dove pure sono moltissime le prescrizioni anche per cose minime in materia di seta. Mentre esiste un contratto di acquisto di filugelli "copti de Romania" del 7 febbraio1286 fatto dal notaro ser Gherardetto da Chiatri. Nello stesso volume è contenuto un patto per la lavorazione delle budella ad uso delI'arte del battiloro. E vari altri contratti di acquisti di sete in cui si precisava il prezzo corrisposto "pro pretio librarum duecentarum novem sete captuie ab eo empta et recepta" e nominano cittadini e mercanti che promettono di pagare "ad bonam lucanam mercadantilem monetam" per acquistare accía alba ad "filandum aurum".

In Toscana si parla di seta di Chiarentana forse perché i primi a coltivare sete in Toscana furono gli abitanti di Chiarantano o Chiarentana che fu un cantelluccio dei Salimbeni fra la Val d'Orcia e la Val di Chiana.
Una gran quantità di "seta di gregio" o "fresio lombarda" proveniva dalla Lombardia, mentre dal Modenese non proviene filato ma filugelli, segno forse che non ne ricavavano seta ma li vendevano alla raccolta.

I lucchesi erano già tessitori esperti come abbiamo visto fin dai primi anni del 1200 e molte ragazze venivano dai paesi vicini per apprendere l'arte e per ottenere un telaio per esercitarla restavano in una casa di tessitori per otto anni consecutivi. Imparavano così i segreti di quest'arte di cui i lucchesi erano gelosissimi e si passavano di padre in figlio dando gravi sanzioni a chi portasse fuori della città la lavorazione di quest'arte.

Lucca potente ed esperta del governo e delle armi attendeva da una parte a difendersi dall'assalto di nemici esterni e dall'altra coi suoi opifici a conservare quella supremazia che la rese famosa sui mercati italiani ed esteri. Prima dell'esodo guelfo di cittadini perseguitati ci fu un'unica eccezione di lavorazione trasferita fuori della città e fu il filatoio che un certo Borghesano da Barga montò a Bologna insieme col figlio Bolognino nel 1272.

Filatoio o Valico

Le operazioni principali a cui venivano sottoposte le matasse dì seta prima di passare al Filatoio erano: filare, incannare, torcere, cuocere, tingere; operazioni alle quali presiedevano classi di artigiani stretti ciascuna in corporazioni rette ciascuna daì propri statuti di cui il più importante era lo Statuto dei Mercanti del 1376 che stabilisce le regole e disciplina il commercio dell'arte della seta dando regole severe per mantenere alta la reputazione che Lucca si era conquistata nel mondo con la perfezione della lavorazione e con l'impiego di materie di prima qualità. Chi avesse tinto un drappo per l'altro o usasse la grana falsa o avesse imbrogliato in qualche modo sarebbe stato considerato come falsario pubblico ed avrebbe veduta con grande scorno, bruciare la propria merce sulla Piazza di S. Michele. Per questo tutte le prescrizioni riguardanti la lavorazione dei drappi e il loro rigore dovevano avere la massima pubblicità all'estero sui mercati che assorbivano la fiorente e ricca produzione.
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